Il calcio è una catastrofe sia sul piano del clima che su quello dei diritti umani
Non è un titolo iperbolico. Lo dicono i fatti. Ed è venuto il tempo che anche i tifosi si facciano sentire.
Da piccolo collezionavo le figurine Panini. Grazie a questi piccoli pezzi di carta adesiva (diventati nel tempo così iconici ma che oggi credo abbiano perso tutta la loro autenticità), uno spazio della mia memoria è dedicata ancora oggi a informazioni del tutto superflue e inutili. Per esempio, i primi tre ricordi che mi vengono in mente grazie alle figurine sono: la città natale di Roberto Mancini (Jesi), da dove proviene Christian Karembeu (Nuova Caledonia) ma soprattutto la data di nascita di Alex Del Piero: 9 novembre 1974.
Del Piero è stato sicuramente il mio giocatore preferito. Seguivo tutto quello che faceva: in campo i miei occhi e le mie attenzioni erano dedicate alla prestazioni di questo giocatore e se giocava male – e mio zio, torinista, non perdeva occasioni per farmelo notare – ci stavo male pure io. Perché racconto questo? Il calcio ha sempre avuto – e continua a mantenere, anche se in misura minore rispetto al passato – un’incredibile capacità di suscitare emozioni. È innegabile che questo sport riesca a toccare gli animi, fino a generare empatia. Un’empatia rivolta ai giocatori, ai tifosi, un sentimento che, per alcuni, appare paradossalmente più naturale in questo contesto che in altri, forse ben più significativi.
Oggi possiamo dire che il gioco del calcio sia diventato una tragedia in termini ambientali e per i diritti umani. Prima iniziamo a riconoscerlo, meglio sarà per tutti. L’ennesima dimostrazione è stata data quando la Fifa ha ufficializzato le sedi dei Mondiali di calcio maschili del 2030 e del 2034: i primi si giocheranno tra Spagna, Portogallo e Marocco, a parte i tre incontri d’esordio in Sudamerica; l’edizione successiva, invece, sarà ospitata dall’Arabia Saudita. Questa decisione ha attirato diverse critiche, soprattutto da parte delle organizzazioni per i diritti umani, secondo le quali tendere la mano verso Riad significherebbe prestare il fianco agli abusi contro i lavoratori stranieri, come già visto in Qatar nel 2022. Non solo, ma la decisione di assegnare la Coppa del Mondo all’Arabia Saudita è stata ampiamente condannata da giocatori professionisti, tifosi e attivisti climatici, che affermano che “il più grande torneo di calcio ora rappresenta danni, inquinamento e avidità”.
L’11 dicembre 2024, durante il congresso straordinario della Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa), è stato confermato che l’Arabia Saudita sarà il paese ospitante dei mondiali 2034. Calciatori, tifosi e attivisti climatici sostengono che questa decisione fa parte di una tendenza più ampia da parte della Fifa, che così facendo dimostrerebbe un totale disinteresse per i cambiamenti climatici e l’impatto ambientale crescente del calcio. Una tendenza dimostrata già dalla prossima Coppa del Mondo 2026, organizzata in 16 città sparse tra Canada, Stati Uniti e Messico che, oltre a essere stata ampliata con 16 squadre aggiuntive e 40 partite in più, comporterà enormi spostamenti aerei per giocatori e tifosi. In più, il torneo del 2030 si svolgerà in sei paesi di tre continenti diversi, con un’impronta ambientale ancora più grande delle precedenti. La Coppa del Mondo 2034 in Arabia Saudita, con la costruzione di 11 nuovi stadi, proseguirà questa tendenza.
Da quando il presidente della Fifa, Gianni Infantino, si è impegnato a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2040, la sua organizzazione ha organizzato l’evento più inquinante di sempre in Qatar 2022. Ora, l’avvicinamento tra Fifa e Arabia Saudita giunge dopo un accordo per promuovere la compagnia petrolifera statale saudita Saudi Aramco come sponsor dei prossimi due tornei di Coppa del Mondo. Come stato ricco di petrolio che ha costantemente cercato di ostacolare i progressi internazionali nella lotta ai cambiamenti climatici, inclusi due recenti vertici internazionali, l’aggiudicazione della Coppa del Mondo all’Arabia Saudita è considerata pericolosa per tifosi, giocatori e il pianeta.
Una delle prime a condannare l’accordo di sponsorizzazione della Fifa con Saudi Aramco con una lettera aperta è stata la calciatrice professionista olandese Tessel Middag, che milita nella squadra scozzese Rangers football club: “Abbiamo inviato un messaggio alla Fifa, forte e chiaro, che la sua disponibilità a permettere all’Arabia Saudita di migliorare la propria reputazione attraverso il calcio sta isolando giocatori, tifosi e il pianeta. Garantire un futuro per il calcio, in cui tutti possano giocare e divertirsi, richiede una vera leadership dall’alto. La decisione sulla Coppa del Mondo 2034 è un’ulteriore prova che il calcio merita di meglio”. La lettera è stata co-firmata da 130 calciatrici.
“Non ci sono dubbi sul fatto che l’assegnazione della Coppa del Mondo Fifa 2034 rappresenti il momento culminante per l’Arabia Saudita dopo anni di acquisizioni, fusioni e accordi di sponsorizzazione nello sport globale”, ha dichiarato Freddie Daley dell’organizzazione Cool down sport for Climate action network. “Questa strategia mirata e deliberata ha dato al Regno l’opportunità di rifarsi un’immagine e di distrarre l’attenzione dal suo scadente record sui diritti umani e dagli sforzi persistenti per ostacolare i negoziati globali sul clima e bloccare il consumo di combustibili fossili per decenni a venire. Il calcio è già colpito da inondazioni e siccità causate dai combustibili fossili, ma la Fifa sembra intenzionata ad aggiungere ulteriore carburante al fuoco”.
Anche Amnesty International – insieme ad altre 20 organizzazioni – ha pubblicato una dichiarazione congiunta per condannare questa decisione, definendola “pericolosa” per i diritti umani. Tra i firmatari ci sono organizzazioni per i diritti umani della diaspora saudita, gruppi di lavoratori migranti da Nepal e Kenya, sindacati internazionali, rappresentanti dei tifosi e organizzazioni globali per i diritti umani. “In base a evidenti prove, la Fifa sa che molti lavoratori verranno sfruttati e che alcuni di loro perderanno la vita se non verranno introdotte importanti riforme in Arabia Saudita. Tuttavia, la Federazione ha scelto di andare avanti lo stesso, rischiando di assumersi una pesante responsabilità per le violazioni dei diritti umani che ne deriveranno”, ha detto Steve Cockburn, responsabile diritti del lavoro e sport di Amnesty International.
L’11 di novembre, Amnesty insieme all’organizzazione Sport & Rights Alliance, aveva chiesto alla Fifa di sospendere il voto per l’assegnazione dei mondiali 2034 a seguito di un’analisi dettagliata dei rischi per i diritti umani nel paese e delle importanti lacune presenti nella strategia proposta dalla Federazione calcistica saudita. Inoltre, Amnesty ha denunciato il mancato risarcimento dei lavoratori migranti coinvolti nei mondiali del 2022 in Qatar, un’azione che ha ignorato le raccomandazioni di un rapporto indipendente, commissionato dalla stessa Fifa. “In ogni fase del processo di candidatura, l’impegno della Fifa nei confronti del rispetto dei diritti umani si è rivelato una farsa. Allo stesso tempo, il continuo rifiuto di risarcire i lavoratori migranti sfruttati in Qatar non lascia alcuna fiducia che siano stati appresi insegnamenti dal passato”, ha concluso Cockburn.
Secondo Amnesty, il processo di selezione della Fifa risulta difettoso anche nell’assegnazione dei mondiali 2030 in Spagna, Portogallo e Marocco, con significativi problemi legati ai diritti umani lasciati irrisolti. Dall’eccessiva militarizzazione alla discriminazione legalizzata, passando per gli sgomberi forzati e le violazioni dei diritti dei lavoratori, c’è ancora molto da fare per garantire che i prossimi tornei di calcio siano sostenibili sia sul piano ambientale che su quello umano.
Qualsiasi speranza di ridurre l’impatto massiccio dell’inquinamento calcistico, e preservare un futuro sicuro per giocare a calcio, richiede tornei più piccoli con meno costruzioni e viaggi aerei. Invece, la Fifa e l’Arabia Saudita fanno affermazioni fuorvianti di “neutralità carbonica” basate su schemi di compensazione di CO2 profondamente imperfetti, continuando al contempo ad abbracciare i combustibili fossili. In definitiva, l’assegnazione dell’Arabia Saudita come ospite per il 2034 incarna l’esempio più insidioso di un modello dominante nel calcio globale: quello dello “sportswashing”.
L’abbiamo fatta persin troppo lunga. Se sei arrivato qui, sappi che sul legame tra sport e sponsor non propriamente etici la lista è molto più lunga e riguarda, oltre al calcio, anche motori, rugby e golf, tanto per citarne alcuni. Un recente rapporto di New Weather Institute, per esempio, quantifica gli investimenti nello sport da parte delle compagnie dei combustibili fossili in almeno 5,6 miliardi di dollari. Oltre alla già citata Aramco (che guida la classifica con 1,3 miliardi di dollari) troviamo le “solite note”: Shell (470 milioni) e TotalEnergies (340 milioni).
Senza nulla togliere alle potenze straniere, nel nostro piccoli conosciamo bene il caso di Eni. In Italia, infatti, il fenomeno dello sportwashing si è recentemente intensificato con l’accordo tra Eni e Serie A: Eni ha sostituito Tim come title sponsor del campionato. Il brand Enilive sarà legato alla massima competizione calcistica italiana per i prossimi tre anni, almeno. Sponsorizzare la Seria A serve per distogliere l’attenzione dalle responsabilità dell’azienda nella crisi climatica. Chiaro. E la stessa cosa vale anche per il basket, dal momento che l’Olimpia, la principale squadra di basket in Italia, riporta sulle proprie divise il logo di “Plenitude”, la compagnia 100% di proprietà Eni dedicata alle rinnovabili.
La solita partita: cambia il campo, cambiano i giocatori, ma il risultato resta lo stesso.
Il numero 35 di JournalisTips è stato chiuso alle 19:32 di giovedì 22 dicembre 2024 ed è stato inviato a 93 contatti.
La scrittura di questa mia newsletter avviene abitualmente in modalità carbon-free, con il 100% di energia rinnovabile, in parte prodotta dai miei pannelli e in parte fornita da ènostra.